9 ottobre 1963, ore 22.39. 260 milioni di metri cubi di roccia si staccano dal versante settentrionale del monte Toc franando a oltre cento chilometri orari nel bacino artificiale sottostante creato dalla diga del Vajont.

L’esondazione è un’apocalisse: onde di 100 metri di altezza rompono la parte sommitale della diga e si riversano nella valle sottostante sui paesi di Longarone, Erto, Casso e altri comuni vicini. Sono 1918 morti.

“Quella notte ci ha cambiato la vita: a me e a tutti gli altri che erano qui” aveva raccontato Gervasia Mazzucco, sopravvissuta alla tragedia. Ricordi ancora vivi e dolorosi, soprattutto per quello che successe dopo, come ci aveva spiegato lo scrittore ertano Italo Filippin.

Con i suoi 264 metri, era la diga più alta del mondo quando fu costruita. Sembrava il trionfo del genio umano, un simbolo del progresso economico. Non tutti però la pensavano in questo modo: prima che avvenisse la tragedia qualcuno l’aveva detto che non era il caso, che era pericolosa, un azzardo.

Progettata dall’ingegner Carlo Semenza e costruita negli anni tra il 1957 e il 1960 nel territorio del comune di Erto e Casso (allora provincia di Udine, oggi Pordenone), aveva un bacino di 168,715 milioni di metri cubi.

Dopo le polemiche, il processo e numerosi dibattiti, furono identificati come colpevoli della tragedia i progettisti e i dirigenti della SADE, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione. Quello che avvenne fu un occultamento della non idoneità dei versanti del bacino, che avevano caratteristiche morfologiche inadatte a contenere un serbatoio d’acqua.

Quello che accadde è che si andò a modificare un equilibrio delicato della montagna, aumentando l’instabilità dei versanti, già fragili e interessati da secoli di eventi franosi, con le infiltrazioni delle acque del lago artificiale creato con la diga.

Sezione: RicorDATE? / Data: Mer 09 ottobre 2019 alle 08:42 / Fonte: montagna.tv
Autore: Politica News Redazione
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