Era d’estate. Il 10 luglio, un afoso sabato del 1976. I testimoni ricordano un sibilo, acuto, penetrante. Uno sbuffo, l’impianto che ha ceduto. Pochi minuti frenetici, gli operai che si sentono soffocare dalla “nuvola” emessa dalla valvola saltata. Uno di loro, Carlo Galante, compie un atto di grande coraggio: entra nella zona del reattore A-101, cinque minuti dopo lo scoppio, apre il raffreddamento ad acqua. Un gesto che impedisce una strage. 
Una nuvola incombe sopra Seveso, in Brianza, 40 chilometri da Milano. Un venticello leggero la trascina. Per fortuna dei milanesi tira nell’altra direzione. La fabbrica chimica si trova nel territorio di Meda ma, per sfortuna degli abitanti di Seveso, spinge la nube velenosa verso di loro, come pure verso la stessa Meda, Cesano Maderno, Desio. 
Sono i primi minuti di quello che è stato ed è rimasto il più grave disastro ambientale del nostro Paese: l’“incidente” dell’Icmesa. Tutti gli italiani – almeno quelli dai 40 anni in su – ricordano così quel 10 luglio 1976. 
Era l’Italia degli anni Settanta, l’ambientalismo era parola rara, la diossina del tutto sconosciuta. Il guasto è dovuto a un improvviso innalzamento di temperatura, oltre i 500 gradi e provoca un cedimento. Da qui il ‰fischio e la nube giallastra. Nell’aria viene dispersa una delle sostanze più nocive sulla faccia della terra. Questo lo si saprà solo il 21 luglio. Intanto i prati ingialliscono, le foglie cadono, gli animali muoiono, la gente continua a vivere nell’area contaminata. Il bruciore si trasforma in arrossamenti e in pustole, deturpando il viso di oltre un centinaio di bambini. Un effetto lento. Erano accaduti altri incidenti simili, in Inghilterra, Stati Uniti, Olanda, ma all’Icmesa non ne sanno nulla… 
Sono 736 le persone evacuate per ordinanza del Comune, 225 di loro non torneranno mai. Case, mobili, oggetti, abiti ‰finiscono in una enorme vasca di cemento, che dovrà essere sigillata per sempre, come gli 80 mila animali morti o abbattuti: la diossina ci mette 300 anni a non contaminare più.
Ora è il 40° anniversario. Tempo di fare memoria, perché non si dimentichi. Tempo di fare il punto, perché Seveso è ancora là e sono migliaia le persone toccate in vario modo da quei fatti. Anche la diossina è ancora là, sepolta nel terreno. Anche il “Bosco delle Querce” è ancora là: il parco realizzato sopra il sarcofago di cemento nel quale fu racchiuso il materiale contaminato. 
«No, non m’interessa commemorare. Le parole di circostanza sono inutili. Mentre cresce in me la volontà di riprendere quanto prima l’impegno del Comitato». A parlare è Massimo Carro, ‰figlio dell’instancabile e indomabile Gaetano Carro, che fondò il Comitato 5D (che sta per “Difesa Diritti Danneggiati Dalla Diossina”).

È mancato il 19 maggio scorso, dopo una vita dedicata alla sua battaglia per la giustizia. Battaglia che non è ‰finita: il 5D è costituito oggi di 10.174 persone. Gaetano Carro quell’in‰finita guerra giudiziaria – la vicenda penale è chiusa, quella civile ancora no – la iniziò proprio per Massimo, che allora non aveva neanche 7 anni, ed è stato uno dei 130 bambini colpiti dalla cloracne, conseguente all’esposizione al materiale tossico. «Pensi alle giovani coppie che avevano preso casa qui e dovettero fuggire», dice Massimo. «Pensi a migliaia di famiglie che hanno rinunciato per paura ad avere un bambino, pensi agli aborti, alle vite cambiate in modo irreversibile. Tutto questo perché? Per una multinazionale svizzera che produceva qui in modo irresponsabile e negligente». 
Un rappresentante della multinazionale svizzera, durante il processo penale, così rispose quando gli fu chiesto perché il triclorofenolo venisse prodotto in Italia: «In Svizzera non potevamo farlo senza mettere a repentaglio la salute dei cittadini». 
Daniele Biacchessi, oggi noto giornalista di Radio 24, allora aveva 19 anni e lavorava a Radio Lombardia: «Nei primi giorni nessuno sapeva nulla», dice. «L’azienda, la Givaudan- Hoffamn-La Roche proprietaria dell’Icmesa, minimizzava. Il 17 luglio andai a vedere cosa stava succedendo perché mi era giunta notizia della moria di animali. Mi rendevo conto che la faccenda doveva essere diversa da come la raccontavano». 
Da allora Biacchessi l’Icmesa non l’ha più mollata. Sta per essere ripubblicato il libro che scrisse nel 1995, La fabbrica dei profumi. Nella nuova introduzione scrive: «Ci sono catastrofi‰ che non fanno rumore. Quella di Seveso è una delle tante catastrofi‰ silenziose avvenute in Italia e nel mondo». Oggi, quelle prime settimane confuse, le defi‰nisce “i giorni del silenzio”: «Il 10 luglio 1976», aggiunge, «all’Icmesa si è formata la diossina più tossica tra quelle conosciute. Le sue proprietà sono devastanti, i danni irreversibili. Una sostanza che danneggia tessuti grassi, fegato, reni, sistema cardiocircolatorio e nervoso centrale. La Tcdd (la sigla del tipo di diossina prodottosi nell’incidente, ndr.) è cancerogena e ha proprietà mutagene. Un grammo può contaminare migliaia di persone». 
Il libro racconta anche dell’ennesimo “armadio della vergogna”: la documentazione contenuta nell’archivio dell’Uffi‰cio Speciale di Seveso, nascosto dal 1976 al 1992 nella sede della Regione Lombardia. Migliaia di fogli. «Il giorno dell’incidente», sottolinea Biacchessi, «non sono usciti 300 grammi di diossina. Molto di più. Tra i 15 e i 18 chilogrammi. E l’azienda è a conoscenza dell’entità del disastro fin dallo stesso sabato 10 luglio».
Da quei documenti emerge anche il fatto che nei giorni successivi al disastro funzionari dell’esercito americano raggiunsero Seveso. Emerge anche un documento inquietante siglato Nato: il tricolorofenolo prodotto dall’Icmesa era uno dei due componenti del cosiddetto Agent Orange, il defoliante utilizzato dall’esercito americano nella guerra del Vietnam. Una produzione illegale, un’arma chimica. Altro che “fabbrica di profumi”. 
«Ora», conclude Massimo Carro, «vogliono andare a smuovere il terreno per realizzare l’autostrada pedemontana. Mi sembra una follia. La diossina è ancora lì, mai boni‰ficata. Invece delle commemorazioni difendiamo questo paese soffocato fra la pedemontana e i binari delle Ferrovie Nord. Questa città dovrebbe essere il simbolo del riscatto ambientale».

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Sezione: RicorDATE? / Data: Ven 10 luglio 2020 alle 21:59 / Fonte: Luciano Scalettari per famigliacristiana.it
Autore: Politica News Redazione
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