a cura di Alessandra Broglia

Riprendiamo da dove eravamo rimasti, con la preziosa consulenza del nostro esperto di riferimento, il dottor Mauro Berta, membro del comitato scientifico per la dermatologia di Ambimed Group Milano network in Travel and Tropical Medicine Italia e del Centro di Ricerca Scientifica Biochimica, Nutrizione e per la medicina tropicale D. Carrion, Facoltà di Medicina, Univ. Nacional Mayor de S. Marcos – Lima. Del virus abbiamo sentito parlare da giorni: il vaiolo delle scimmie, detto anche monkeypox virus, e fa discutere anche per l’eco mediatico che ne è conseguito. Il dottor Berta specificava la differenza del virus a livello cutaneo, poiché è molto similare ma si contraddistingue per la linfoadenopatia, cioè l’ingrossamento dei linfonodi, quelli che abbiamo sotto le ascelle, a livello del collo o inguinale. Questa linfoadenopatia è presente nel vaiolo delle scimmie e assente in quello umano.                                                                                                  

Si può confondere con una malattia simile?

Si può con l’herpes zoster, ma intanto è dovuto a un altro virus che, come dice il nome è un herpes ma lo ricorda perché forma delle crosticine, simili a quella trasformazione da papula a crosta che si ha nel vaiolo.  

Qualora si abbia il sospetto di questo vaiolo, quali esami sono indicati?

Gli esami principali che si possono effettuare sono: l’esame colturale, la cosiddetta PCR (Polymer Chain Reaction) e la microscopia elettronica. Come vaccino, che le generazioni precedenti hanno ricevuto, e mi riferisco a quello del vaiolo umano, è in grado di coprire quello delle scimmie con un’efficacia almeno dell’80%. Alcune organizzazioni mondiali, come anche la Food and Drug Administration stanno studiando in particolare la possibilità di una vaccinazione professionale, per le persone a rischio di questi orthopoxvirus. Ad esempio tecnici a contatto con animali da laboratorio, gli allevatori di specie come roditori, il personale addetto alla pulizia di gabbie abitate da queste specie, nonché veterinari e medici.

Esiste una terapia ad hoc?

R: Non ancora, ma abbiamo dei cosiddetti antivirali, cioè dei biologici di supporto con funzione antivirale come il tecovirimat e il cidofovir. Bisogna specificare che si parte su base teorica perché nei paesi di tipo endemico come l’Africa non sono stati somministrati, poiché normalmente la malattia decorre ma è comunque in forma blanda. Nel caso del soggetto positivo al vaiolo delle scimmie, proveniente dalle Canarie, e residente ad Arezzo, vive da solo e hanno valutato questo contagio per le persone non di famiglia; come gli altri casi ricoverati allo Spallanzani, 15 sono stati messi in isolamento domiciliare, poiché sono stati in contatto con queste persone.

Qual è la sintomatologia?

Come primo sintomo la febbre, cefalea, seguita dall’ingrossamento dei linfonodi, dolori reumatici e difficoltà articolari e stanchezza. Poi compaiono i sintomi cutanei: vescicole o pustole, trasformandosi in crosticine che lasciano cicatrici, simili ai segni alla varicella (ma come detto prima è un herpes). I sintomi sono molto più lievi del vaiolo. Di norma nei casi normali, la guarigione avviene in media dopo due o quattro settimane. Visti i casi delle Canarie, mi sento di sconsigliare in questo momento i viaggi in quella zona, poiché sappiamo che esiste questo focolaio. Il contatto interumano si è detto che avviene per goccioline salivari o per contatto diretto, ma ribadisco che deve essere intenso, prolungato e ravvicinato. Il tasso di mortalità per l’OMS si aggira con una media del 3%, con punte del 6%.

Indumenti, lenzuola possono essere pericolosi?

Sicuramente sì, ma bisogna tenere presente che la massima contagiosità di questo virus si ha nei primi sette giorni dalla comparsa dell’esantema, cioè delle papule sulla cute. Dopo sette giorni questa contagiosità va scemando.

Il vaiolo è storicamente una patologia che per il suo vaccino, tra i più importanti, sancì un enorme progresso nella medicina e per l’umanità; ma come si sviluppò tutto questo?

Il vaiolo fu introdotto in Africa centrale nei primi anni del XIX secolo. Mentre in Africa settentrionale si calcola addirittura fosse presente nel XVII secolo. Quello delle scimmie ha avuto la sua grande contagiosità nell’Africa centrale nel XIX secolo, in quella settentrionale nel XVII secolo. La più grande contagiosità risale del XVIII secolo. Però possiamo dire che esiste da 3000 anni, l’ultimo caso di vaiolo fu nel 1977 in Somalia. L’OMS lo dichiarò debellato nel 1980. Nel caso del vaccino utilizzato per i più anziani, venne inoculato quello di origine bovina e forniva una prevenzione del 95%. Ecco perché a distanza di anni la copertura si aggira intorno all’80%, riferendoci alla protezione del vaiolo delle scimmie. Era una dose singola, con un particolare ago, che inoculava sottocute diverse dosi di virus, provocando una piccola escoriazione. Seguiva una piccola ferita che diveniva vescica, la quale in circa tre settimane dopo la vaccinazione formava una crosticina, per poi lasciare al suo distacco, la cicatrice sul braccio, visibile in certe fasce di adulti. In Europa il primo caso di vaiolo delle scimmie lo abbiamo nel Regno Unito, poi in Portogallo con cinque casi e la Spagna otto sospetti, seguita dalle Canarie. Nella situazione attuale le epidemie di vaiolo delle scimmie, si sono manifestate solo nelle zone dell’Africa centrale e occidentale; ad esempio Kenya, Tanzania o Namibia non costituiscono un problema, qualora si decidesse di voler andare.

Sezione: Medicina del Viaggiatore / Data: Sab 04 giugno 2022 alle 12:14 / Fonte: a cura di Alessandra Broglia
Autore: Redazione PN
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