Riguardo all'attualità politica, la redazione di PoliticaNews.it ha intervistato in esclusiva Giorgio Trizzino, esponente del Gruppo Misto.

Come giudica il dibattito relativo al Ddl Zan?

"Il disegno di legge Zan fin dall’inizio del suo percorso parlamentare è stato bersagliato da innumerevoli critiche e commenti negativi, concentrati prevalentemente sugli effetti giuridici che esso avrà dopo la sua approvazione, anche alla luce del riconoscimento dell’aggravante che rende più pesanti le pene per i reati «fondati sull’omofobia o sulla transfobia». Ma è innegabile che il confronto sul ddl oltre a svilupparsi sul tema della libertà di opinione, si concentra anche sul rischio di una censura nei confronti di chi non condivide la concezione della sessualità adottata nel testo. Infatti il testo non si riduce alla tutela dei soggetti emarginati e perseguitati per la loro diversità sessuale (a questo sarebbe bastato il ddl Scalfarotto che il testo dell’on. Zan ha assorbito e sostituito), ma oggetto della polemica sono invece le definizioni generali oggi contestate, inevitabilmente legate a una visione complessiva, e dunque filosofica, della persona. Ed è proprio tale visione, non la tutela in sé stessa - su cui tutti, almeno a parole, dicono di essere d’accordo - a suscitare le divergenze nei confronti del ddl che il Senato si accinge a discutere, riconoscendo e rendendo vincolanti nel nostro ordinamento giuridico quelle categorie concettuali proprie delle gender theories, contenuti nel testo Zan. Una di queste categorie è quella contenuta nell’art. 1, e che riguarda l’«identità di genere»: «Per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione». Mentre il sesso è costituito da quell’insieme di caratteri biologici e morfologici, inscritto nella corporeità di una persona fin dalla sua nascita, per cui si è maschio oppure femmina, ed è dunque un dato oggettivo, l’«identità di genere» dipende dalla percezione che il soggetto ha di sé anche se questa non corrisponde al sesso. E ciò anche se non ha già «concluso un percorso di transizione», in altri termini, anche se non ha ancora “cambiato sesso” con l’aiuto di interventi chimici o chirurgici. Che si possa distinguere tra il sesso biologico e la percezione soggettiva della propria «identità di genere» (nella stragrande maggioranza dei casi, peraltro, corrispondente al sesso), è un dato di fatto. Non si nasce uomo, come non si nasce donna. Il dato anagrafico trova la sua piena realizzazione quando il maschio e la femmina se ne appropriano attraverso la loro crescita complessiva. Si tratta di comprendere se sia opportuno fissare con una normativa questa identità di genere. Non basta, insomma, che gli individui siano tutelati come persone: sono la loro «identità sessuale» e i loro «orientamenti sessuali» che devono esserlo, additandoli come valori riconosciuti dalla collettività e ormai indiscutibili. E su questo argomento che si fondano le più grosse perplessità che riguardano più in generale la corrispondenza della teoria dell’«identità di genere» alla struttura dell’essere umano, per il quale la corporeità – di cui la caratterizzazione sessuale è elemento essenziale – non rappresenta un involucro esteriore secondario, rispetto alla sua identità, ma entra a costituirla. Noi non “abbiamo” un corpo, “siamo” il nostro corpo. Ed esso non è un frammento di materia amorfa, indifferente per il nostro destino, ma esprime in ogni sua manifestazione la nostra personalità. Questa considerazione assume un particolare rilievo in ambito educativo. Il ddl Zan istituisce una «Giornata contro l’omofobia», che prevede interventi nelle scuole di ogni ordine e grado e sulla cui scia si moltiplicheranno probabilmente analoghe iniziative. L’idea è in sé in linea con la necessità di superare un clima diffuso di discriminazione nei confronti dei “diversi”. Il punto critico semmai riguarderebbe le modalità della sua realizzazione. Dal punto di vista pedagogico ci si potrebbe chiedere se sia opportuno caricare di un simile problema personalità ancora molto acerbe (si comincerebbe fin dalla scuola primaria), in una fase della vita in cui l’identità sessuale ha ancora bisogno di definirsi e il riferimento alla propria caratterizzazione sessuale in senso biologico è molto importante. Ma, più in generale, si tratterebbe di una “rivoluzione culturale”, a cui la codificazione giuridica della «identità di genere» contenuta nel ddl Zan darebbe la sua copertura, senza che questo concetto sia stato mai veramente discusso e accettato democraticamente. Giusta o sbagliata che sia questa concezione della persona e della sessualità, non si rischia di introdurre, così, surrettiziamente contro le logiche di una società veramente pluralista? Sono domande che meritano sicuramente una riflessione approfondita ed è giusto che il Senato si interroghi per non affidare una scelta così gravida di conseguenze all’onda emotiva dell’opinione pubblica e alle pressioni degli influencer. Ma allo stesso modo oggi mi faccio un’altra domanda, quanto sia giusto approvare questa legge? È giusto non per la nostra concezione che abbiamo dell’altro, ma per la necessità di compiere un ulteriore passo avanti verso il riconoscimento dei diritti umani. Discutere ma votarla per far sì che finalmente lesbiche, gay, bisessuali e transessuali siano persone ‘’normali’’ come tutte le altre e che i loro comportamenti siano equiparati pianamente a quelli eterosessuali"

Sezione: Esclusive / Data: Gio 15 luglio 2021 alle 17:30
Autore: Luca Cavallero
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